
Che esistano animali considerati infestanti è un dato di fatto. Che questi animali possano davvero essere una piaga per chi ci deve fare i conti è altrettanto noto.
Zanzare, cavallette, formiche, topi.
Topi.
Tutti inorridiamo all’idea di un roditore indesiderato che fa “razzia” delle nostre scorte di formaggio. E le aziende di settore, di questo nostro orrore si nutrono, inventando sistemi quanto mai elaborati (ed efferati) per disfarci degli invasori. Ma un elemento che non viene preso in considerazione MAI o quasi, in questi sistemi di sterminio è che a volte il carnefice fa marcia indietro dal proprio intento di epurazione. E può succedere. Anzi succede o meglio: successe una mattina di qualche anno fa quando, entrando in ambulatorio, trovai in sala d’attesa un viso particolarmente ansioso. Un signore che apparentemente non aveva condotto a visita il proprio animale, ma aveva un inquietante sacchetto di plastica accanto a sé. Bianco. Ad un’osservazione appena più accurata mi resi conto che il sacchetto si muoveva sommessamente. Mi cambiai in un lampo: qualsiasi animale ci fosse, sicuramente la permanenza in una busta di plastica non gli avrebbe giovato particolarmente. Feci accomodare subito il cliente che, un po’ imbarazzato, quando gli chiesi quale fosse il problema, senza pronunciar parola, estrasse una tavoletta di legno dove annaspava tra la colla un topolino di 4-5 centimetri. Dopo qualche istante di silenzio imbarazzato per entrambi, il cliente mi disse che si era pentito di aver messo in casa una trappola tanto crudele e mi chiedeva di salvare quel povero topino che probabilmente in quel momento stava mentalmente implorando che qualcuno salvasse il pezzo di formaggio (anch’esso incollato) pochi centimetri più in là; ancora oggi me lo immagino prendere la parola per dire: “non pensate a me: salvate lui salvate LUI!!!!”. In buona sostanza ammetto di aver fatto una filippica al pover’uomo che forse neppure immaginava quanto potesse essere brutto veder morire un animale ma il tempo stringeva: la colla moschicida (o ratticida…solo il nome dovrebbe far venire i brividi) faceva sempre più presa, cosicché assolsi dopo averlo condannato (in entrambi i casi senza diritto) il malcapitato conduttore del topo e con Andrea (collega che ancora mi manca per la serenità con cui affrontava ogni avventura) iniziammo un intervento che mai avrei creduto tanto ingrato: se costruissero le case con quella dannata colla, credo che non ci sarebbe più bisogno di ristrutturazioni. La prima operazione fu quella di inserire una tavoletta metallica tra topo e legno, da quella riuscimmo a disimpegnare il povero topo che, a titolo di vendetta, mordeva qualsiasi dito gli capitasse a tiro. A quel punto sottoponemmo il mantello del roditore a corroboranti frizioni di olio d’oliva, alcool etilico e sapone. In circa 4 ore il topo sembrava appena uscito da un salone di bellezza, cotonato e imbellettato. A quel punto Andrea ed io ci prendemmo una meritata pausa per cercare un’oasi felice (e lontana da abitazioni rischiose) per il povero roditore. Lo liberammo e ci saremmo aspettati una fuga a perdifiato, invece il topino (probabilmente per gli effetti dell’alcool, che tra le altre cose lo aveva reso moooooooolto più collaborativo dell’inizio) si guardò “felice” attorno, annusò l’aria e cominciò a passeggiare allegramente tra il fogliame, alzandosi ad annusare l’aria forse per capire dove si trovasse o, magari, per assaporare l’insperata conclusione di quella terrificante avventura.
Zanzare, cavallette, formiche, topi.
Topi.

Per il formaggio purtroppo non ci fu nulla da fare.
1 commento:
E chi se lo voleva mangiare quel formaggio? ;-)
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