lunedì 31 agosto 2009

I come e i perché!



Sarà banale, ma a me piacciono gli
animali. No davvero. E pure parecchio.
Perché ogni veterinario (spessissimo il sottoscritto compreso), alla domanda (un po' troppo frequente in effetti): "Ma tu fai il veterinario perché ami gli animali?", escogita una risposta per stupire gli interlocutori, per non ridurre tutto ad una tanto semplicistica spiegazione. Quasi a dover dare un senso più profondo alla propria scelta di vita. Oppure solo perché è la centesima volta che si sente formulare il quesito e spera di shockare l'interlocutore. Dunque se ne sentono di notevoli: "No si beh...è che mi piace la medicina, ma non avrei potuto curare le persone perché mi immedesimo troppo" (questa va parecchio); "Si mi piacciono ma non è questa la vera ragione: ho scelto questo lavoro perché non potevo immaginare di rinchiudermi tutto il giorno dentro un ufficio" (eccerto, invece chiuso dentro un ambulatorio che, per giunta, non ha neppure orari di chiusura garantiti...). "No: io faccio questo lavoro perché sono misantropo (parola molto in auge tra noi veterinari) e preferisco avere il meno possibile a che fare con le persone". Non fa una piega, ma allora, oltre che misantropi siamo anche poco informati: ogni animale che arriva possiede almeno un proprietario, e generalmente in stato di stress! E poi c'è la mia preferita, quella che avrei voluto inventare io: "No a me in realtà gli animali non dicono molto, ma la facoltà di veterinaria era piena di ragazze!". Imbattibile.

Out for emergency

Quando entrai in casa dei miei clienti, il gatto alzò la sonnacchiosa testa dal divano, mi guardò imperturbabile e si rimise a dormire. -bene, pensai- almeno è collaborativo. Il che alle quattro del mattino non guasta. I suoi proprietari mi avevano chiamato ininterrottamente dalle due, xchè quello stesso serafico animale, che ora se ne stava placido a godersi il sonno del giusto, non aveva fatto altro (a detta loro massimo fino a cinque minuti prima) che miagolare come un ossesso per tutta casa, correndo a tratti, rintanadosi, saltando e contorcendosi in aria. Avevo cercato di rinviare la visita al mattino, ma alla quarta telefonata avevo capito che di dormire ormai comunque non se ne parlava più, quindi tanto valeva eliminare il dubbio di una pericolosa ostruzione uretrale (“eh dottore, va fuori, chi lo sa quando ha fatto pipì l'ultima volta!” Stramaledetti giardini). Chiaramente la casa era un'introvabile villetta arrampicata nel nulla, in una posizione che definire panoramica sarebbe stato denigratorio; chiaramente ci misi mezz'ora a trovarla, congelando sulla mia moto; chiarissimamente i campanelli era o due e senza nome ergo, x la regola del 50% avevo svegliato anche il vicino con annessi, impronunciabili, auspici rivolti alla mia persona e relativi antenati. Ma ero lì finalmente. E ora bisognava pensare al felino in difficoltà. Avevo portato il solito ospedale da campo (che su una moto, garantisco, ci sta “appena” strettino) e quindi approntai per prima cosa ogni strumento che ero riuscito a cacciare nella mia borsa senza fondo. Quando finalmente fui pronto, Augusto (un giorno devo parlare del perverso meccanismo che si cela dietro la scelta dei nomi dei nostri animali) era sveglio e mi guardava incuriosito, senza abbandonare la stravacatta posizione sul divano. -”Ah dottore, una cosa stranissima che non le abbiamo ancora detto: faceva dei versi che ci hanno terrorizzato; una via di mezzo tra un belato rauco e lo schiarirsi la gola”. Oh no! No sarebbe davvero troppo...mi avvicinai al gatto ed iniziai a carezzarlo, immediatamente si accese il motorino della fusa. Compressi delicatamente la pancia: la vescica era morbida, nessuna ostruzione; sarei andato anche oltre se non avessi visto l'aluccia della falena Che fremeva debolmente sotto la zampina del laconico cacciatore. A quel punto sollevai di peso Augusto e una farfalla notturna piuttosto tramortita tentò finalmente la fuga da quell'incubo. In effetti non era neanche in cattive condizioni; magari un po' shockata. Feci aprire la finestra e con l'aiuto di un bicchiere e un foglio di carta (io ho il TERRORE di qualsiasi insetto!) la condussi in salvo mentre speigavo al mio esiguo pubblico che quegli orrendi versi erano la fin troppo sana espressione di u rituale di caccia...mi girai verso i proprietari, pienamente coscienti del ridicolo episodio. Se non fossero state quasi le cinque del mattino avrei potuto ridere con loro dell'accaduto. Ma ERANO quasi le cinque del mattino. Ad andar bene mi ci sarebbero voluti venti minuti di assideramento motociclistico per arrivare a casa. E dopo due ore dopo sarebbe suonata la sveglia. “Dottore lo vorrebbe un caffè?...” e in quella pausa non ci trovai la minima malizia,solo la genuina offerta da chi sa di averla combinata grossa. “Certo signora!”. Restammo a parlare fino alle sette, seduti comodi sul divano, delle peripezie di Augusto e dei suoi avi, tra i quali figurava addirittura un persiano di importazione diretta. Nel frattempo svuotai la dispensa degli anziani coniugi, decimai biscotti e mietei vittime anche tra gli ignari succhi di frutta e finalmente mi congedai per uscire dall'ennesima notte a confini della realtà. Circa mezz'ora dopo, un cartellino faceva bella mostra di sé sulla porta del mio ambulatorio: “Siamo fuori per un'emergenza. Riapetura prevista nel pomeriggio”.

giovedì 27 agosto 2009

Pruriti di stagione


Quel dannato cane mi stava facendo vedere i sorci verdi da quasi due mesi. Era stato presentato alla visita per un lieve eritema sulla ascelle e le cosce. Pois. Un bellissimo dalmata di due anni (ho già detto che ho un debole per i dalmata?). Maschietto, esuberante e simpaticissimo. La proprietaria dopo aver consultato altri due colleghi, si era rivolta a me su suggerimento di un amico, già mio cliente. Non mi era apparsa molto fiduciosa fin dal primo momento, ma si era detta disposta a far curare Pois fino in fondo per risolvere il problema, perché "non ce la faceva più a vedere il suo angioletto (testuali parole) ridotto a grattarsi come un forsennato ogni cinque minuti. Iniziai quindi ad escludere: parassiti, squilibri ormonali, malattie infettive banali e specifiche, malattie impossibili ed anche inesistenti, fino a stabilire che doveva trattarsi di allergia. Orrore! Le malattie su base allergica sono subdole come una spia di missione impossibile: riescono ad assumere le sembianze di qualsiasi morbo, rimanendo comodamente avvolte dall'anonimato. Nel frattempo l'eritema non se ne stava certo buono: dopo le orecchie aveva coinvolto lo sterno, tutta la pancia e ora il povero Pois iniziava ad essere riluttante a muoversi per dolorose ulcere ai piedi. Proprietaria mooolto innervosita. Iniziai l'approccio standard con terapia sintomatica e un costosissimo test sugli allergeni ambientali; maledissi il referto quando rientrò negativo. "Vede signora (cercando di convincere entrambi): un risultato negativo è comunque un passo in avanti verso la diagnosi! Abbiamo potuto escludere un grosso capitolo delle allergie ed ora possiamo dedicarci a quelle esclusivamente alimentari. Vedrà che è solo questione di tempo perché il suo "angioletto" torni in piena salute. Solo questione di tempo. Già. Perché io non sono un patito di dermatologia, ma quel poco che so si riassume nel seguente assioma: le malattie cutanee sono centomila, i sintomi si contano sulle dita di una mano, le indagini diagnostiche sono scarsamente conclusive e le terapie lunghe, laboriose (allergie? bene: il dosaggio di in antistaminico nel cane è da 8 a 20 volte più alto rispetto a quello dell'uomo) e spesso non definitive. Non a caso le malattie dermatologiche sono al primo posto nella top five delle ragioni per cui un proprietario cambia medico: per quanto paziente il cliente sia, spesso finisce con l'attribuire al veterinario le ragioni del fallimento. Quindi ero sulle spine. Ogni volta che facevo tornare pois al controllo tremavo e il dialogo si apriva SEMPRE, con questa frase: "dottore e un si va punto bene: io CONTINUO a seguire le sue indicazioni e il cane (non più angioletto) non fa che grattarsi e peggiorare" (leggere con tono tra il contrariato, l'accusatorio e il polemico). A distanza di un mese dalla sua prima visita, non avevamo ancora cavato un ragno dal buco. Passai alla dieta ad esclusione: se l'allergene è contenuto nell'alimento, si fornisce un'alimentazione inusuale, per vedere se la situazione si risolve. Chiesi prima se Pois fosse solito mangiare cibi strani o poco raccomandabili e poi iniziai a recitare la filippica: "mi raccomando signora, le prescrivo una dieta con due alimenti e basta: cervo e patate, mi raccomando che il cane, per le prossime settimane non mangi altro che questo. Nemmeno una briciola di pane extra, altrimenti vanificheremmo la prova". "Dottore (un po' più forzato del solito), le garantisco che il mio cane sta più a cuore a me che a lei; come ha visto sono disposta ad andare fino in fondo nonostante i costanti falliamenti (e tre frustate sarebbero state meglio)". Ci demmo appuntamento dopo due settimane e trascorsi il tempo a ripetermi che non poteva non andare bene: le avevo provate TUTTE e la dieta era l'arma definitiva, avrei fatto un figurone e vinto per sempre la sfiducia della scontrosa signora. Aaah si!

Driiiiiin! (oh no!) "dottore sono la proprietaria del dalmata con la presunta allergia. Bisogna ci vediamo qualche giorno prima perché qui la cosa va sempre peggio". Mi irrigidii, ma con tono molto professional da chi questa cosa proprio se l'aspettava, fissai un incontro per il pomeriggio dello stesso giorno. Pois sembrava un lebbroso: piaghe infette a profusione, sguardo triste, non una festina. La proprietaria era furibonda: "dottore io proprio non capisco: a sentir lei questa doveva essere la soluzione definitiva e invece non facciamo che andare peggio. Mi avevano tanto parlato bene di lei, ma inizio a credere che forse lei non sia in grado di gestire questa malattia!". Cercai di farle capire che le malattie dermatologiche hanno un approccio lungo e difficile e che non bisogna demoralizzarsi. Fiato sprecato: la pazienza della mia cliente era rimasta a casa quel giorno. Cercai di vuotare la mente e ricominciai daccapo; forse tirai troppo la corda quando chiesi nuovamente: "lei è ASSOLUTAMENTE sicura di non aver dato nulla a Pois al di fuori della dieta che le ho prescritto?". "Senta dottore, cercare in me le ragioni del suo fallimento non risolverà il problema. Vorrà dire che dovremo cercare un dermatologo più competente". Ecco fatto. Ormai eravamo al punto di non ritorno. Avrei potuto cercare in tutti i modi di convincerla ma sapevo che non sarebbe servito a nulla. Feci scendere Pois dal tavolo e le dissi che ovviamente era libera di scegliere di cambiare medico. Mentre lo dicevo il dalmata ebbe un conato di vomito e proiettò sul pavimento della sala visite tre belle noci intere. Non ci potevo credere!! Dentro di me qualcosa iniziò a ballare allegramente. Incrociai lo sguardo della proprietaria che intuì la mia ritrovata supremazia e provò a dirmi: "...ma le noci non sono mica cibo!". Usai tutta la pazienza del mondo per spiegare che si invece, le noci sono considerate cibo dai più e potevano essere le responsabili di tutti i nostri fallimenti e mentalmente incrociai le dita: se mi fossi sbagliato questa volta, la mia reputazione sarebbe finita definitivamente alle ortiche. Rincuorai la cliente che iniziava a colpevolizzarsi (ahh! Chi è l'incapace ora?) e la rispedii a casa con antibiotici e divieto assoluto per le noci. A due settimane di distanza Pois scodinzolava di nuovo, camminava molto meglio e persisteva solo un lieve eritema diffuso. Dopo un mese non lamentava più alcun sintomo di allergia. E Pois è ancora mio paziente!