lunedì 16 settembre 2013

Questo mestiere qua

(Si è un po' una sboronata 'sto post, ma è per fare capire come facciamo questo lavoro. O come dovremmo farlo)


Piove. Fuori dall'ambulatorio è l'una del mattino, dentro il tempo no ha significato: ci siamo io e il gatto. E non importa da quanto siamo lì. Importa che il gatto sta male. Molto male. E io ancora non so perché. Esco a fumare una sigaretta. Piove e non passa nessuno. Tutti ignari fortunati, rifugiati in qualche posto caldo, per lo più abbandonati a Morfeo. Dai tetti l'acqua che si raccoglie cade con ritmi diversi, scandendo un gran bell'assolo di batteria. Fumo, per allontanarmi dai funesti pensieri del tempo che fuori scorre e mi ricorda che il gatto è dentro ad aspettare. Fumo e ripenso. Ai sintomi, le informazioni che ho. Tante, per una volta. E contraddittorie come in poche occasioni. Perché non risponde alle terapie? È un'infezione, ci scommetterei. Allora perché gli antibiotici, le flebo, l'alimentazione forzata non riescono ad invertire il corso della malattia? 
Guardo la punta ardente della sigaretta: tra poco fine della tregua, dovrò tornare dentro, lasciando il tempo fuori a scorrere per gli altri. 
Infine mi decido e richiudo la porta alle mie spalle. Subito mi ritrovo nel mio mondo. Lo trovo ad aspettarmi come una macchina automatica: si riaccende docile alla mia presenza. Obbediente si srotola in un istante facendo bella mostra di macchinari e farmaci. E libri. Ne ho consultati almeno quattro nelle ultime ore. Tutti confermano i miei sospetti, ma nessuno riporta la ricetta della pozione magica che ci toglierà dai guai.   
Entro in degenza, a vedere il gatto che se ne sta sdraiato su un fianco, accenna appena a un ringhio quando apro la gabbia per fargli una carezza.  Al suo posto farei altrettanto. Se non peggio. In ogni caso lui ha il buon gusto di significarmi disappunto.
Ritorno sui libri e cerco di capire se ho altre scelte di farmaci: non voglio cambiare diagnosi, voglio capire perché non riesco a guarire la malattia, che so esserci. 
Tra un giorno, massimo due, avrò la conferma dal laboratorio (o sarò sconfessato, ma faccio finta che non sia possibile). Ma due giorni il gatto non sembra averli. 
Gli antibiotici ci sono, ad ampio spettro. Le terapie di supporto idem. 
Mi manca di provare l'acqua di Lourdes e poi le ho tentate davvero tutte. 
E l'omeopatia certo, ma mi rifugio nella scusa dell'ignoranza. 
Sono ancora lì con la mente che si dimena come un pazzo nella sua camicia quando succede qualcosa di strano. 
Come se uscisse da tutte le direzioni, un suono, prima dimesso, poi sempre più forte. È qualcosa di familiare ma non riesco a focalizzarlo sul momento. Mi circonda e continua a crescere di volume, fino ad invadere tutte il pezzo di mondo in cui sono. Fino a svegliarmi con la melodia di ogni mattino. 

Eccolo. Il mestiere. Avere paura come di un incubo: avere paura che sia reale.