giovedì 24 aprile 2008

La befana vien di notte


Durante il primo anno a Firenze, abitai a 50 chilometri, in piena montagna. Nel bosco, anzi: nel Bosco (avete google earth? Casomai lo prendete QUI. Fatto? Bene: latitudine: 44° 2'22.57"N longitudine: 11°17'15.01"E). Per diversi chilometri solo la mia casetta. Rientrare a notte fonda mi creava sempre un certo disagio. Specie per quegli ultimi cinquanta metri da percorrere a piedi in un fitto d’alberi che avrebbe terrorizzato anche la strega di Blair!
Eppure raggiungere quelle quattro mura sperdute era guadagnare il riposo. Le rare volte che mi colse un’emergenza me le ricordo bene. La più…vergognosa risale all’epifania del 2004. Era circa l'una di notte. Avevo appena finito di riempire le calze di dolci quando mi squilla il telefono: “Dottore la Kira ha iniziato a partorire, ma il cucciolo spunta ogni tanto dalla natura (la vagina, per capirci) e poi rientra dentro”. A quel punto avevo già raggiunto la macchina (bosco o non bosco) e mi proiettavo verso casa di Kira. Conoscevo bene i proprietari: un’anziana coppia di contadini gentili e premurosi fin nel DNA. E innamorati di quel bellissimo springer che ora tentava per la prima volta l’avventura del parto. E mentre percorrevo i cinquanta chilometri mi ripassavo il protocollo delle distocie, pensavo a come organizzarmi per il cesareo, a chi far rianimare i neonati. Arrivai trafelato a casa dei due coniugi e mi precipitai dentro. Chiesi subito acqua calda e sapone (lo sanno tutti che servono sempre in un parto) e mi feci portare da Kira. Quaranta minuti erano trascorsi dal momento della telefonata al mio ingresso nella “sala parto” e già tre meravigliosi cuccioli di springer se ne stavano, lavati e asciugati, comodamente intenti a brindare alla vita col primo latte di mamma. Rimango sempre stupito dalla semplicità con cui la Natura affronta concetti per noi tanto complicati. Ma quella volta mi stupivo soprattutto di quanto avessi sopravvalutato la mia presenza. E il bosco? E i cinquanta chilometri? E il fatto che fossero le 2 di notte?! Dovevo fare qualcosa! Presi l’acqua calda e il sapone, esplorai il canale del parto e trovai l’ultimo cucciolo che si avvicinava a grandi passi verso l’ ”uscita”. Appena mi fu possibile lo afferrai delicatamente ed aiutai Kira a partorirlo, sotto gli occhi stupefatti dei proprietari, ammirati da tanta abilità. Naturalmente quel cucciolo sarebbe uscito anche da sé ma io, allora, che ci stavo a fare?!

Dopo aver verificato lo stato di salute di mamma e cuccioli, chiesi di potermi lavare le mani. Appena finito iniziai a rimettere in ordine gli attrezzi nella mia borsa. “Dottore venga, dopo tanto lavoro bisogna che si rifocilli!”. Non ho mai letto malizia in quelle parole, ma fino al terzo bicchiere di grappa rimasi appena insospettito. Dal quarto in poi smisi di pensarci.

martedì 22 aprile 2008

Alla memoria


È con dispiacere estremo che do la notizia della scomparsa del cane più rompiballe del mondo. Spentosi da poco durante un attacco fatale di abbaio selvaggio.
Cous Cous, cane bassotto, mascotte, miracolato, mendicante senza fondo, mordacissimo, impietosa sveglia notturna.
Si presentò in clinica circa otto anni fa. Aveva sette anni e un’ernia cervicale che lo rendeva tetraplegico. Il legittimo proprietario, rifiutato l’intervento, aveva chiesto l’eutanasia. Noi lo operammo proponendo l’adozione. Come primo ringraziamento Cous Cous assestò, durante la mensile degenza, svariati morsi a ciascuno di noi. E mano a mano che riprendeva forza sulle zampe, i suoi assalti si facevano più efficaci. Finalmente il periodo di gabbia e punture finì e Cous Cous divenne il compagno notturno di ognuno di noi. Quando la clinica esauriva il lavoro diurno, il tremendo bassotto prendeva in custodia il medico di guardia, divideva con lui la cena e si sdraiava ai suoi piedi come il più fedele dei cani. Mi ci ha fregato diverse volte: tutto compreso nella sua parte di miserabile aspettava la pietosa carezza per avere la mano a portata di bocca. Piccolo bastardo!
Nella sua carriera Cous Cous vanta anche un avvelenamento da dicumarolo. Si salvò soltanto perché le 280 pillole di antidoto che dovette assumere in tre settimane sapevano di cioccolato.
Ha attentato alla salute cardiaca di tutti noi con puntuale determinazione quando, simultaneamente al campanello delle emergenze notturne, partiva all’assalto abbaiando come cento cani (i peggiori risvegli della mia vita…fin’ora). Ed è paradossale che dopo tanti tentativi di farci morire d’infarto, proprio in uno di questi accessi abbia deciso di restarci secco lui.
E tante volte, di notte come di giorno, è stato al nostro fianco, a darci conforto nel lavoro e compagnia nel silenzio, senza mai lamentarsi per la sveglia, il freddo, il poco sonno. E qualche volta, preziosa, si è anche lasciato accarezzare

martedì 15 aprile 2008

Torno subito

In questi giorni non c'è mai tempo per scrivere con calma, ma ho un video da condividere.
Cattivissimo, ma mi piaceva troppo...me lo hanno mandato oggi. Spero solo di non violare nessun copyright...in tal caso non ne ero cosciente...e poi fa troppo ridere

martedì 8 aprile 2008

Di nome e di fatto..




A volte l’intervento del veterinario esula dalla medicina a tal punto da sconfinare in altre professioni. Mi chiedo se questo tipo di disagi colpisca anche i medici “umani”, ma lì forse è meno plausibile che si renda utile la figura del “Dott. Falegname”. A me è capitato circa un mese fa. Mattinata fitta di appuntamenti, durante una delle ultime visite ricevo una telefonata allarmante: “Dottore, non è che avrebbe una sega?”. “Prego?! -rispondo già sapendo che non sarà una giornata facile- Si una sega, sa, la mia gatta ha il vizio di nascondersi sempre dietro il lavandino in cucina ed è rimasta incastrata nel mobile. Sono già due ore che si lamenta e cerca di uscire, ma non riesco proprio ad aiutarla. L’unico modo sarebbe di segare la staffa del mobile e disincastrare la micia..” (silenzio speranzoso)...io purtroppo una sega ce l’ho e quindi tra lo sconcertato e lo sconcertatissimo appunto l’indirizzo della signora, sbrigo l’ultima visita e mi incammino verso l’ennesima follia lavorativa della mia vita. Arrivato sul luogo mi rendo conto che nessuno aveva esagerato: la gatta era effettivamente incastrata e non c’era verso di smuoverla. Il mobile della cucina poi: un pezzo unico di 45 metri di lunghezza, ancorato come fosse stato parte della casa da sempre. Smontiamo le ante del lavandino con la padrona di casa e decidiamo il punto di “attacco”, distante 20 centimetri dalla gatta, per evitare numeri di magia mal riusciti. Così, mentre la signora tranquillizza il felino, io inizio a demolire la costosissima cucina. Da mancino posso dire con ragione che il razzismo dei destrorsi è qualcosa di indecente: rannicchiato in una posizione improbabile, mi trovo a tagliare l’unica cucina di legno massello, utilizzando un arnese che dall’impugnatura in avanti è pensato esclusivamente per un destro. Dopo mezz’ora di sudore e fatica infernali avevo appena intaccato la staffa da tagliare. La gatta più che preoccupata mi guardava incuriosita e nonostante tutto la situazione non poteva che essere divertente. Un mal di schiena e 20 minuti dopo la situazione era già meno simpatica e il pezzo di legno d’acciaio ancora piuttosto saldo. Chiedo una pausa e la signora rilancia di un caffé. Arrivato ormai allo zucchero, mentalmente pronto a surclassare Ercole e le sue ridicole fatiche, vedo la gatta che scivola sinuosa dalla presunta trappola e, con la nonchalance tipica dei felini, si dirige tranquilla verso la ciotola.




Del resto la gatta si chiama Diabolika.

sabato 5 aprile 2008

Distratti si, però...



I gatti maschi, non me ne vogliano perché mi considero uno dei loro più convinti estimatori, secondo me hanno tuttavia un odore un po' troppo penetrante. come dire...praticamente una puzza nauseabonda. E chi si è trovato colpito da una "marcatura" felina sa certamente di cosa parlo. Questa caratteristica è particolarmente forte nei maschi "interi", quelli che invece vengono castrati (e nei gatti di casa è praticamente la norma), quell'odore martellante si attenua fino a scomparire. Per questa decisa tendenza ad avere animali castrati o "neutralizzati" (dovendo tradurre letteralmente dal più onesto inglese) quando un gatto è molto "profumato" ci facciamo immediatamente caso. E così accadde che un giorno, entrando nella clinica dove lavoravo, mi chiesi come facesse a resistere il proprietario della puzzola che doveva essere già in qualche sala visita, visto che io avevo difficoltà a sopportare il terribile odore a metri di distanza. Lasciai l’anticamera e mi diressi verso lo spogliatoio, lungo il corridoio delle sale visita carpii un brandello di conversazione: "…siamo un po' preoccupati perché le nostra due gatte, sorelle, hanno 2 anni e da qualche tempo hanno iniziato a manifestare atteggiamenti promiscui, tanto da abbandonarsi a scene di amore saffico (beh, loro non dissero esattamente così)".

ATTENZIONE! Non me la potevo certo perdere una cosa del genere: entrai con la scusa di salutare Melania (la mia collega che già non sapeva più a quale santo votarsi per non esplodere in una risata) e rimasi a godermi la visita. "e già che ci siamo dottoressa, la più piccina sembra ingrassare a vista d'occhio negli ultimi tempi". Abbandonata ogni speranza di serietà, sghignazzando tra noi, aprimmo la gabbia alla ricerca della facile conferma: la sorella più grande vantava un apparato sessuale maschile di tutto rispetto, mentre la più piccina fu sottoposta ad esame ecografico e la causa dell'obesità si dimostrò essere l'ingombrante presenza di 3 feti quasi a termine gestazione.La coppia di proprietari non ebbe il minimo sgomento; entrambi accolsero la notizia con un grandissimo sollievo: "Avevamo così paura che stessero male".

venerdì 4 aprile 2008

Grasso è bello ma...


Lindo è un pastore australiano di rara giovialità. Uno di quei (pochi) cani che, se avesse una coda, la agiterebbe anche per il veterinario. Ha ormai 6 anni ed è stato per me un grattacapo non da poco.
Quando lo conobbi, cioè all’inizio di questa storia, Lindo pesava 38 kg. Aveva da tempo abbandonato le sembianze di una mortadella a quattro zampe, per abbracciare l’immagine di una cassapanca. Devo dire che la cosa non lo disturbava affatto: la mole non gli impediva di fare le 3 cose che amava di più: mangiare, fare festa a qualsiasi essere vivente e partecipare alle settimanali passeggiate montanare con la sua famiglia. Corpulento, ma felice. Solo che l’obesità non è uno stato di grazia e io sono cattivissimo a riguardo. Così, convinti i proprietari (quattro tra mamma, papà e due “sorelle” maggiori, Flavia e Caterina), iniziammo il “progetto dieta” su un ignaro e scodinzolante Lindo. 6 mesi di tentativi portarono ad una impietosa collezione di insuccessi clamorosi: per tutto il tempo della dieta il largo pastore non accennò neppure una volta a perdere peso. Eppure le avevamo tentate davvero tutte: prodotti del commercio, cucina casalinga, integratori e farmaci.


Niente da fare; Lindo continuava ad ostentare i suoi 38 kg ad ogni visita di controllo. Fu durante uno di questi incontri che, scaturì l’idea (purtroppo non mia, ma di Flavia). Partimmo dall’istinto: Lindo, come ogni pastore, aveva ed ha un poderoso senso del gregge, tanto che nelle escursioni di fine settimana (un vero appuntamento fisso per tutta la famiglia) costringeva il gruppo a mantenere il passo “comodo” della mamma, per timore di perdere qualche componente. L’idea di Flavia (visto? Non ho rubato la paternità) consisteva quindi nello “scompattare” la famiglia, durante le camminate nella speranza che, colto da istinto, Lindo iniziasse a fare la spola tra le due sorelle e i genitori, incrementando così l’esercizio fisico. Oggi Flavia e Caterina partono 20 minuti dopo i genitori e, quando li raggiungono, Lindo ha già percorso un bilione di volte la distanza tra i due gruppi di montanari. Certo, mangia ancora come una cassapanca, ma pesa 29 chili e anche come mortadella inizia ad essere poco credibile.

martedì 1 aprile 2008

Vittima e carnefice



Che esistano animali considerati infestanti è un dato di fatto. Che questi animali possano davvero essere una piaga per chi ci deve fare i conti è altrettanto noto.
Zanzare, cavallette, formiche, topi.
Topi. Tutti inorridiamo all’idea di un roditore indesiderato che fa “razzia” delle nostre scorte di formaggio. E le aziende di settore, di questo nostro orrore si nutrono, inventando sistemi quanto mai elaborati (ed efferati) per disfarci degli invasori. Ma un elemento che non viene preso in considerazione MAI o quasi, in questi sistemi di sterminio è che a volte il carnefice fa marcia indietro dal proprio intento di epurazione. E può succedere. Anzi succede o meglio: successe una mattina di qualche anno fa quando, entrando in ambulatorio, trovai in sala d’attesa un viso particolarmente ansioso. Un signore che apparentemente non aveva condotto a visita il proprio animale, ma aveva un inquietante sacchetto di plastica accanto a sé. Bianco. Ad un’osservazione appena più accurata mi resi conto che il sacchetto si muoveva sommessamente. Mi cambiai in un lampo: qualsiasi animale ci fosse, sicuramente la permanenza in una busta di plastica non gli avrebbe giovato particolarmente. Feci accomodare subito il cliente che, un po’ imbarazzato, quando gli chiesi quale fosse il problema, senza pronunciar parola, estrasse una tavoletta di legno dove annaspava tra la colla un topolino di 4-5 centimetri. Dopo qualche istante di silenzio imbarazzato per entrambi, il cliente mi disse che si era pentito di aver messo in casa una trappola tanto crudele e mi chiedeva di salvare quel povero topino che probabilmente in quel momento stava mentalmente implorando che qualcuno salvasse il pezzo di formaggio (anch’esso incollato) pochi centimetri più in là; ancora oggi me lo immagino prendere la parola per dire: “non pensate a me: salvate lui salvate LUI!!!!”. In buona sostanza ammetto di aver fatto una filippica al pover’uomo che forse neppure immaginava quanto potesse essere brutto veder morire un animale ma il tempo stringeva: la colla moschicida (o ratticida…solo il nome dovrebbe far venire i brividi) faceva sempre più presa, cosicché assolsi dopo averlo condannato (in entrambi i casi senza diritto) il malcapitato conduttore del topo e con Andrea (collega che ancora mi manca per la serenità con cui affrontava ogni avventura) iniziammo un intervento che mai avrei creduto tanto ingrato: se costruissero le case con quella dannata colla, credo che non ci sarebbe più bisogno di ristrutturazioni. La prima operazione fu quella di inserire una tavoletta metallica tra topo e legno, da quella riuscimmo a disimpegnare il povero topo che, a titolo di vendetta, mordeva qualsiasi dito gli capitasse a tiro. A quel punto sottoponemmo il mantello del roditore a corroboranti frizioni di olio d’oliva, alcool etilico e sapone. In circa 4 ore il topo sembrava appena uscito da un salone di bellezza, cotonato e imbellettato. A quel punto Andrea ed io ci prendemmo una meritata pausa per cercare un’oasi felice (e lontana da abitazioni rischiose) per il povero roditore. Lo liberammo e ci saremmo aspettati una fuga a perdifiato, invece il topino (probabilmente per gli effetti dell’alcool, che tra le altre cose lo aveva reso moooooooolto più collaborativo dell’inizio) si guardò “felice” attorno, annusò l’aria e cominciò a passeggiare allegramente tra il fogliame, alzandosi ad annusare l’aria forse per capire dove si trovasse o, magari, per assaporare l’insperata conclusione di quella terrificante avventura.



Per il formaggio purtroppo non ci fu nulla da fare.