sabato 2 gennaio 2010

Veterinari o speleologi?

Il venerdì mattina, preambolo del giorno di maggior lavoro nel nostro
ambulatorio, inizia sempre nello stesso modo: Federico e io che facciamo a gara per chi arriva prima, Simonetta che fa a gara per chi arriva ultimo e, pur di vincere, si tiene lontana una mezz'ora dall'orario di apertura. Mentre Federico sistema le attrezzature chirurgiche della giornata, scarica dalla macchina eventuali endoscopi ecc, io mi occupo di ricevere i pazienti per gli interventi: faccio firmare le autorizzazioni ed effettuo le visite
preanestesiologiche. Accade quindi che la porta della sala visite venga aperta spesso mentre i pazienti sono sul tavolo di esame... (accadeva, anzi). Un mese fa circa stavo visitando Micia prima di una nosectomia. La proprietaria, gestante all'ottavo mese, era vistosamente preoccupata per la gatta, il marito sembrava molto più spaventato dalla pancia di lei. La micia collaborava poco e in tutto questo ero appena riuscito a metterla sulla bilancia, quando entrò Federico con le borse degli endoscopi. Per un malaugurato calcolo ergonomico, la bilancia è vicina alla porta dicomunicazione con la sala d'attesa. La gatta, individuata una via di fuga, iniziò una mutazione forzata in anguilla (con gli artigli però), mi graffiò ovunque arrivasse e riuscì (vergogna) a svincolarsi dalla mia presa. Urlai al proprietario di chiudere immediatamente la porta, ma dovetti
farlo in aramaico, perché lui mi guardò senza il minimo segno di comprensione, Federico tentò un gesto atletico con tre Borse di endoscopi in mano, ma riuscì solo a rallentare l'evasione.
Per la sala d'attesa dobbiamo chiamare in causa la nota legge di Murphy ("se una cosa può andare male, lo farà"): un dannatissimo sassettino di forse due millimetri si era opposto alla chiusura della porta, lasciando uno spiraglio di libertà alla gatta che, senza pensarci un istante, si lanciò in strada. I proprietari a quel punto partirono all'inseguimento e la scena, nella sua drammaticità, non rinunciò ad una certa comicità: lei col pancione che strillava, lui che veniva preso a graffi e morsi ogni volta che la gatta decideva di fermarsi. Il problema però è che la gatta era pericolosamente vicino alla strada e continuare ad inseguirla aumentava il rischio di una tragedia automobilistica. Dunque quando Micia decise di rintanarsi nella resede di una palazzina a due piani poco distante dall'ambulatorio, tirammo tutti un sospiro di sollievo: chiuso il
cancello non restava che la caccia!
Quando la gatta decise di buttarsi nel pozzetto dell'aria condizionata profondo 5 metri, stretto stretto e sporco sporco, tirammo tutti qualche improperio. Rimasi di guardia mentre Federico andava a recuperare una corda con cui calarci (si avete capito bene). Il trambusto fatto, per fortuna, attirò l'attenzione di un inquilino al primo piano e, I eccezione ai postulati di Murphy, questi ci offrì una scala in ferro "dimenticata" a casa sua dai muratori. Eravamo a cavallo!
Il tempo di aiutarlo a far scendere l'enorme arnese giù per le scale e la gatta sarebbe stata tratta un salvo.
Il tempo di far scendere la scala e la gatta era scomparsa.
Impossibile: non poteva aver risalito un muro liscio. Eppure non se ne vedeva traccia. Decidemmo comunque di calarci tra i motori dei condizionatori. Scesi per primo. A prima vista nessuna traccia del felino. Ma c'era un possibilità: una minuscola finestrina socchiusa che dava sul magazzino di un'enoteca. Mi vidi già ad inseguire la gatta tra bottiglie più costose di me! Mandammo i proprietari ad avvisare il negoziante della probabile invasione. Stavo per risalire quando Federico dall'alto mi indicò un'altra nicchia nel muro che non avevo minimamente notato. Era un "buco" quadrato, forse di 20 centimetri di lato, dove avrebbe fatto fatica a rintanarsi un ragno. Ovviamente la gatta, bellicosa, era li dentro e infilare la mano per tirarla fuori equivaleva ad un di volerla perdere, la mano. Federico non perse tempo: assicurò la gabbia alla fune e la calò nel cunicolo, poi scese anche lui (il che ridusse lo spazio di manovra di ciascuno di noi al poter muovere agevolmente le dita) munito di guantoni rinforzati. In qualche modo la gatta dovette capire la nostra determinazione, perché si arrese senza lottare. La rimettemmo nel trasportino che fu issato in superficie e risalimmo.
Dopo si trattò di riportare la scala al primo piano, senza la carica adrenalinica di prima. Quando infine rientrai in ambulatorio ero sfinito come fossero le dieci di sera. Ma erano le dieci del mattino e infatti arrivò Simonetta, piuttosto alterata: "ma non mi avete preso la colazione!??"



PS: buon anno nuovo a tutti!