giovedì 22 maggio 2008

Figli di Eva


Quando ero piccolo credevo di essere unico. Ritenevo che il mio modo di pensare fosse assolutamente irripetibile ed originale.
Crescendo ho iniziato ad osservare con scetticismo derisorio gli studi statistici, i "modelli comportamentali". Idiozie. Le MIE reazioni sono legate alla MIA personale esperienza, al MIO assolutamente unico modo di ragionare. E nessuna legge di massa potrà MAI prevedere il mio modo di interagire col mondo.
...crescendo ancora ("maturando" mi sembrava improbabile, "invecchiando" impronunciabile!) ho iniziato a notare, con sempre maggiore disappunto, che di fronte allo stesso avvenimento, ci comportiamo come le sardine di uno sterminato banco: tutti nello stesso modo. E quando, dal parrucchiere come dal medico, faccio uno stupido test su una rivista buttata lì con le altre, mi trovo classificato in 20 parole insieme a tutti gli altri "tra 1 e 20" o "a maggioranza di risposte C".
Che poi alla fine è anche consolatorio sapere che un sottile filo ci unisce, sepolto in qualche infinitesima molecola di DNA, pronta a reagire se dobbiamo disegnare un serpente o descrivere un'isola deserta.
A pensarci bene, questo "catalogare" le persone è un'esigenza innata in ciascuno di noi e assume anche una notevole utilità talvolta. Nel mio lavoro per esempio, ho scoperto che l'esame clinico e l'intero approccio al paziente seguono meccanismi diversi a seconda della tipologia di cliente che ho di fronte. Si, perché i proprietari possono essere anche diversissimi tra loro, ma si possono praticamente ricondurre tutti a tre categorie:

ANSIOSO
(dialogo avvenuto alle 2 del mattino)
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIN
Io: "Clinica veterinaria mi dica?"
Lui: "Stiamo calmi!!!!" e butta giù il telefono
Dopo 5 minuti
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN
Io: "Clinica veterinaria mi dica?"
LUI: "Bene, ora possiamo parlare..."

OSTILE
Io: "....dunque, beve molto?"
Lui: "Non lo so. penso che berrà"
Io: "Bene...mangia? E che cosa?"
Lui: "Si, boh, penso di si. Quello che capita"
Io: "Va di corpo?"
Lui: "E che ne so! Va fuori"
Io: "La pipì?"
Lui: Ma le ho detto che va fuori!"
Io: "Magari su questo sarà più preparato: è vaccinato?"
Lui: "E che ne so, se ne occupa mia moglie"
Io: "...e possiamo chiederglielo?"
Lui: "Si, ma non credo che lo sappia"
"...occheeeei..."

METICOLOSO
"Dovevo venire ieri per il vaccino annuale ma non ho potuto. Dobbiamo ricominciare tutto daccapo?"

"Questa notte ho notato che il cane respirava meno del solito: ho contato 8 respiri al minuto, con un minimo di 5 e un massimo di 11. Alle 3 però non ce l'ho fatta più e sono dovuto andare a letto (con tono molto colpevole)"

"Oggi Billy è andato di corpo 2 volte invece delle solite 3. Pesando le deiezioni ho visto che più o meno siamo comunque nella media, mi devo preoccupare?" ...beh, se pesa regolarmente le feci del suo cane, SI, deve preoccuparsi...

mercoledì 14 maggio 2008

Laila BIS


Non vorrei dare l'impressione che Laila sia proprio un cane sconsiderato. E' solo che i ricordi che affiorano la mettono sempre in ridicolo. Per esempio, quando abitavo ancora a Perugia, avevamo una mega stufa ipertecnologica. Una di quelle che si accendono da sole, si alimentano da sole, si spengono da sole (ovviamente non si puliva da sola, ma in compenso si sporcava tantissimo, da sola). La stratosferica stufa in questione raggiungeva temperature d'esercizio altissime ed aveva una finestra di vetro temperato che lasciava ammirare una fiamma piena e luminosa. Quasi ipnotica.
La casa, anche questa piuttosto sperduta in campagna, tendeva ad essere gelida e quindi la stufa lavorava sempre a pieno regime durante l'inverno. Per la felicità di Laila: il freddolosissimo cane adorava starsene a crogiolare di fronte al calore della fiamma in vetrina. Generalmente controllavo che non trascorresse troppo tempo a scaldarsi, ma il giorno che mi è tornato alla mente ero ritornato a casa dopo una tirata di ventidue ore a lavoro. Ero stravolto e crollai sul divano appena entrato in casa. Tanto più che tutto era in ordine: Nadja pensava alla piccola Julia (che aveva circa sei mesi) intenta a spalmare la sua pappa sulle pareti della cucina e Laila ammirava la fiamma a distanza (a posteriori) sconsiderevolmente ravvicinata. Dopo cinque minuti dormivo ormai il sonno del giusto e sobbalzai quando un enorme tonfo mi svegliò: Laila, completamente "cotta" dal calore, era crollata a terra, svenuta, rigida come un cane imbalsamato, ma con l'estatica espressione: "così voglio morire". Ormai la stufa non è più con noi e, forse proprio per questo, Laila ancora si.

Dizionario medico



La malattia è tabù. Non fingetevi stupiti: della malattia non si può e non si deve parlare, a meno che non si tratti di una forma rarissima, complicatissima e curabilissima. Unica eccezione: si può parlare delle malattie altrui.

E nel parlarne c'è uno strano gusto estetico che riguarda la scelta dei termini che si possono pronunciare e quelli che, invece, sono assolutamente da evitare. In loro vece vengono usati giri di parole fenomenali, che non ho ancora capito se servano davvero a ridurre l'imbarazzo di chi parla o (e sono più incline a credere alla seconda ipotesi) se si prefiggono l'alto scopo di non far capire nulla al malcapitato medico di turno. naturalmente poi, il tutto viene pronunciato quasi sottovoce: "dottore, il gatto va alla cassetta, ma non riesce a fare le sue cose".

In ormai 8 anni di professione ho, per esempio, scoperto che la parola "feci" è off limits. "Quella grossa", "ha sporcato", persino "la porcheria" sono preferibili. Per non parlare della "gatta in caldo", che mi fa venire in mente una ricetta vicentina di gatto in umido.

Poi ci sono sciarade, sinonimi inesistenti e frasi in codice. forse il proprietario in quei casi pensa di essere una giovane marmotta oppure crede di stringere con il medico una sottile intesa privata. Una volta per tutte: noi non capiamo mai!! Non so, per esempio, cosa avesse in mente un giorno una signora quando mi telefonò per dirmi: "Dottore, al mio gatto gli trezzeca un dente" - come scusi? - "ah no, scusi lei: in realtà gli dringola". - Ah ecco...

giovedì 1 maggio 2008

Meraviglie dal mondo

Ci sono persone capaci di esprimere le proprie emozioni con l’arte. Capaci di vedere il bello nascosto nelle cose del mondo e poi tradurlo, in musica, colori, parole.
Io, zoppo, sono convinto di poterla vedere, la Bellezza, ma poi non sono capace di spiegarla. Come quando ho una parola sulla punta della lingua: so quasi che vorrei dire, ma alla fine la parola difetta e mi rimane dentro.
Oggi mi hanno portato in visita un gatto. Nero. Sette chili. Grande. Bello come il cielo la notte. Trovato in un giardino, forse scappato, forse abbandonato. E lui non mi conosceva. Non conosceva neppure bene chi me lo ha portato; eppure se n’è stato lì, sul tavolo visite, a fare le fusa, tranquillo. E si è fatto “punturare” (per dirlo come mia figlia) persino, senza smettere di vibrare di piacere. E trasmetteva una incondizionata serenità e una incrollabile fiducia da ricordarmi quanto bello può essere il mondo che abitiamo.


PS: cerca casa…forse si faceva pubblicità?

ricordi...d'inferno

A volte le circostanze ci costringono ad avere un rapporto conflittuale con i nostri compagni quadrupedi. Si perché non è mica detto che il cane sia sempre il migliore amico…o comunque anche i migliori amici possono dimostrarsi delle vere carogne. E tanto più siamo indifesi, tanto è più vera questa affermazione.
Prendete i bambini: ce ne sono alcuni che sviluppano con il cane di casa un rapporto di reciproca soddisfazione. Mia figlia, per esempio, quando iniziò a mangiare, smise di essere per i miei cani la sirena impazzita che può accendersi senza preavviso e divenne, piuttosto, un distributore ambulante di cibo. Dapprima inconsapevolmente, un semplice seminacibo passivo: durante la pappa, bastava un paziente assedio al seggiolone per avere la certezza di raccogliere qualcosa. Poi Julia ha compreso che, per far partecipare Laila e Pedro agli estenuanti tea danzanti di bambole e peluche, è sufficiente tirare fuori un pezzo di pane e centellinarlo sapientemente per tutta la durata del gioco. Oggi direi che l’equilibrio non pende a favore di nessuno: i due cani senza fondo hanno la garanzia dello spuntino pomeridiano e Jules si è assicurata due instancabili compagni di gioco che rimarranno nei suoi ricordi.

Ma ci sono bambini o ex tali che non conservano degli animali della propria infanzia un ricordo perfettamente felice. “Quel piccolo bastardo” è l’epitaffio più ricorrente sulle lapidi mentali dei miei clienti che ripensano al passato. Chi è stato abbandonato nel bel mezzo di una rissa, chi si è visto preferire un osso. Quello che mi diverte di più è il “cane bullo”.
Immaginate un omone di cinquant’anni e cento chili. Lo conosco da anni ed ho in cura da sempre il suo Jack Russell. Ma durante le visite in ambulatorio finiamo ormai sempre col parlare di Vasco, il primo cane di cui l’omone abbia memoria. “Dottore, lei non sa quello che ho patito per colpa di quel beeeeeeeeeeeeep beep beeeeeeep di uno spinone. Da piccolo avevo un appetito robusto (maddai?!) e quindi i miei erano attenti a razionarmi il cibo. La merenda del pomeriggio era sempre un panino con la salsiccia cruda (un razionamento crudele direi!)...sa, s’era gente umile di campagna (invidia invidia invidia: il panino con la salsiccia crudaaaaa). Estate o inverno che fosse il panino mi veniva consegnato sulla soglia di casa e mi era fatto divieto rientrare in casa finché non l’avessi finito, per non “sbriciolare” sul pavimento. Il fatto è che Vasco imparò presto questa routine e mi aspettava paziente fuori casa. Appena mia madre spariva, lui arrivava scodinzolante, senza che neppure capissi come staccava di netto mezzo panino e se ne andava lasciandomi come un ebete a fissare quel mozzicone di merenda che mi restava. Provai a dirlo a mia madre qualche volta e ne ho ricevuto sempre la stessa risposta: - un po’ di dieta non ti fa certo male! - … Dottore non mi giudichi: io quel cane lo odiavo!”.
…E io non giudico ma, per come quell’uomo grande e grosso parla di Vasco, neppure ci credo.