giovedì 7 ottobre 2010

Festa!


Come sempre la chiamata era arrivata alla prima portata della cena, quando si abbassa la guardia, un po' per fame, un po' per stanchezza. Indipendentemente dalle manie persecutorie, la situazione era grave, il che mi procurava quel formicolio adrenalinico che il buon senso rifugge e di cui tutti siamo affamati. Come al solito, come un pugile prima di salire sul ring, ripassavo mentalmente le informazioni sul nemico. Ok il cane tenta di vomitare, ma non riesce. Ok è autunno inoltrato e prima o poi pubblicheranno un lavoro che dimostra come le torsioni di stomaco si concentrino nelle prime notti davvero fredde e magari piovose, quelle in cui è ancora più difficile uscire di casa. Ok il cane pesa più di trenta chili (nota post intervento: 61 per la precisione), ok è uno dei miei pazienti preferiti. Bene gli ingredienti del dramma c'erano tutti, era ora di far entrare gli attori, in ordine di apparizione:

Alberto: dogue de bordeaux di sei anni...enorme, con mole e sguardo da vitello, il cane più pacifico che abbia mai conosciuto. Uno di quelli che, al momento della puntura del vaccino ti guarda come se da te proprio non se lo sarebbe mai aspettato, ma ti perdona. 

Padrone di Alberto: più o meno come il cane. Alto, indole pacifica, fiducioso. Apparentemente molto distratto, invece attento ai dettagli ed eccellente osservatore. 

Il sottoscritto

Federico: nulla da aggiungere, salvo la solita ora di macchina (senza traffico) che lo separa dal suo letto caldo alle emergenze fiorentine

Simonetta: nulla da aggiungere, salvo la solita ora e venti minuti di macchina (senza traffico) che la separa dal proprio letto caldo alle emergenze fiorentine. 

La scena: esterno dell'ambulatorio; una strada fitta di auto parcheggiate. Le 10 di sera, buio, sottile pioggia, luci di lampioni, riflessi lucidi aull'asfalto bagnato. 

Alberto e padrone già inscena, senza ombrello. L'uomo fuma (il cane no).
Arriva un auto, scende il sottoscritto, senza ombrello. Finisce la sigaretta. 

Padrone di Alberto: "Ciao Alessandro, scusa il disturbo ma non sapevo che fare"

Alessandro: "Tranquillo, quando ti tiro fuori il conto vedrai che scusa non la chiedi più". Ammicca e guarda Alberto per valutare la gravità della situazione. Perplessità 

I due scambiano battute mentre il sottoscritto apre l'ambulatorio, Alberto se ne sta pazientemente al fianco del padrone, senza dar segno di accorgersi della pioggia. 

Cambio scena: l'interno dell'ambulatorio. Luci bianche, odore di disinfettanti, fogli impilati sulla scrivania, il sottoscritto si muove rapidamente per accendere i macchinari di cui avrà bisogno.

Alberto: "........................woff!" un unico, profondo abbaio rivolto al padrone. 

Padrone di Alberto: "che c'è impiastro? Vorresti andare via? Potevi pensarci prima di sentirti male"

Il sottoscritto (che nel frattempo si è cambiato). Rientra sghignazzando in sala visite: "Alberto non dargli retta, ha più paura lui di te. Allora vediamo come stai". Abbassa il tavolo visite
Alberto oppone ostinata immobilità di fronte agli inviti a salire. Questi si trasformano presto in perentori comandi e Alberto, sbuffando, inizia poggiando pesantemente una zampa anteriore sul tavolo e poi fissa il padrone, quasi a chiedere se sia davvero quello che gli viene richiesto.

Padrone: "avanti femminuccia, sali tutto su quel tavolo!"

Il cane si decide e, al rallentatore, completa la salita. 

Il sottoscritto aziona il comando e Alberto sale ad altezza visitabile. 

La perplessità cresce: il cane non sembra in torsione, l'addome non è disteso, non aumenta di volume a vista d'occhio. Inoltre le mucose sono buone, la frequenza cardiaca è normale. 
Il sottoscritto: "sono in difficoltà: avrei bisogno di fare una radiografia per capire qualcosa di più. Anzi due: viste le dimensioni di Alberto, per vedere esofago e stomaco mi serviranno due scatti distinti. 
Padrone di Alberto: "fai tutto quello che devi, tanto non ti pago"
Il sottoscritto: "bene, allora portatelo da solo il cane sul tavolo radiologico!"

I due prendono il cane, non senza difficoltà, lo trasportano nella saletta radiologica e, sbuffando, lo sdraiano sul tavolo. Il sottoscritto tara la macchina, prepara gli schermi, poi posiziona il cane ed effettua il primo scatto. Mentre aspetta che il digitalizzatore gli mostri l'immagine, scatta anche la seconda. 

Il sottoscritto: "lo stomaco in effetti è sovradisteso, pieno d'aria, ma non vedo traccia di torsione, né la definirei una dilatazione tanto imponente..forse è il caso di telefonare a Federico e Simonetta.
Il sottoscritto inserisce anche la seconda cassetta nello scanner. 

Il sottoscritto armeggia un buon minuto col cellulare, per riuscire ad effettuare una chiamata a tre. 

Il sottoscritto: "ciao, dilatazione moderata, nessun segno di torsione. Qui non ha ancora avuto conati, in effetti sembra stare bene"

Federico: "l'esofago riesci a vederlo?"

Il sottoscritto: "sto andando ora a leggere il secondo scatto"

Simonetta: "non ci posso credere: si è ricordato di fare anche la seconda radiografia!"

Il sottoscritto rimane un secondo di fronte allo schermo, ingrandisce un dettaglio, modifica l'esposizione e poi, sempre al telefono: "non ci crederete mai..quanto vi manca ad arrivare?"

Simonetta: "io sto parcheggiando"
Federico: "io arrivo tra cinque minuti"
Il sottoscritto: "Allora vi lascio un po' di suspance!" e chiude il telefono. 
 Padrone di Alberto: "allora, si vede qualcosa?"
Il sottoscritto: "in effetti si, ma devi aspettare anche tu. Piuttosto, oggi è il...?"
Padrone di Alberto, senza un attimo di esitazione: "oggi è il 16 novembre! Compleanno di mia moglie"
Il sottoscritto, affettando sorpresa: "noo! Allora magari questa salsiccia formato gigante ha anche interrotto una festa!" 
Padrone di Alberto: "niente di che: eravamo noi con la bambina, ho cucinato io e avevamo appena stappato lo champagne e avviato la torta, quando Alberto ha iniziato a stare male"
Simonetta: "ciaononmidirenientebuonaseraèquestalalastra?"

Il sottoscritto, ridendo: "si ma non dire niente neanche tu"

Simonetta si avvicina al monitor di visualizzazione, prende in mano il mouse per aggiustarsi l'immagine, ma dopo un secondo si gira verso il sottoscritto e scoppia a ridere

Nel frattempo arriva anche Federico, con un tempismo eccezionale, saluta, guarda il monitor: "non ci posso credere"


Il sottoscritto: "si, stavamo giusto dicendo che oggi è il compleanno della padrona di Alberto"

Federico: "ah certo. Bevuto champagne?

Padrone di Alberto: "si ma...non mi dite che il cane ha rubato l'alcool! No. Me ne sarei accorto!" 

Il sottoscritto: "certo che vi trattate bene quando bevete, guarda questo" indica un'ombra sul monitor, aumenta leggermente il dettaglio e il padrone di Alberto si avvicina allo schermo


Padrone di Alberto: (piuttosto eccitato) "ma...ma è il tappo della bottiglia, qui si legge anche moet!"

Il sottoscritto: "direi che la diagnosi non è particolarmente complicata. Dobbiamo fare un'endoscopia e provare a toglierlo, ma non credo che sarà molto difficile, viste le dimensioni di Alberto"

Il cane, sentendo il proprio nome, si gira verso il sottoscritto, estende la testa sul collo e rigurgita il tappo, seguito da un boato di aria che esce dallo stomaco.

Federico: "no, in effetti non sarà molto difficile"

Risate, sipario. 

martedì 9 febbraio 2010

Gli occhi del carnefice

Ore tre. Del mattino certo. Che domande...
Ore tre dicevo. Sdraiato in un canile puzzolente a cercare di porre
fine alle sofferenze di un cane che ha tutte le carte in regola per
poter fare da solo: 21 anni, un diabete scompensatissimo, cardiopatico e forse qualche altra cosa che non ho indagato. È buio e fa anche
parecchio freddo. Mi illumina come riesce la padrona del cane. Le
batterie della sua cadaverica torcia devono avere l'età dell'animale.
La mano della signora invece deve avere bevuto un po' perché proprio
non riesce a star ferma. Sembrano gli ingredienti di un horror. Ma
questi non sono comunque mai momenti semplici. In compenso la signora
è in vena di chiacchiere e questo è di conforto: su quel pavimento di
terra battuta, mentre cerco una vena del disgraziato animale,
intorpidito dal gelo, potrei anche addormentarmi. Mi racconta di quel
mucchietto d'ossi che sto per mandare ai campi elisi. Me lo descrive
atletico, muscoloso e coraggioso. Me ne racconta le gesta. Gran
sterminatore di galline. Conquistatore instancabile, pluripadre
irresponsabile. E quella volta che fece scappare un cacciatore? Coi
bambini è sempre stato feroce. Pare che una volta abbia boicottato il
compleanno estivo di qualche generico nipote avvalendosi di armi
acustiche e un assalto alle vettovaglie coronato dal successo. Poi
arriviamo al declino. Le passeggiate sempre più rade, infine l'esilio
in quel misero recinto. Tre giorni prima il verdetto. E ora
l'attuazione della sentenza. E mentre somministro l'anestesia generale
che precede l'eutanasia, capisco. Che un po' sto ammazzando anche la
vecchia signora. Che sono 21 anni di affetti che sto per interrompere.
Sto sempre più scomodo in quel recinto, inginocchiato di fronte al
cane ora. Che per fortuna è bianco e c'è uno spicchio di luna.
Altrimenti non saprei neppure da che parte sia la testa. Cerco di
concentrarmi sugli aspetti tecnici. E si riparte di resoconti di una
vita. Mi assale un gran freddo mentre percepisco il coraggio di questa
maledetta chiamata notturna. Questo cane morirà comunque tra mezza
giornata. E la vecchia signora invece mi ha tirato giù dal letto
perché, per fargli lo sconto di qualche ora di agonia, è disposta a
illuminare gli occhi del boia e a raddrizzare la voce che trema anche
più della mano. Sono pronto ora. Chiedo alla signora se preferisce
rientrare in casa. Avverto il disagio di averle proposto di andare
via: il giardino tra canile e casa è enorme e piuttosto inospitale.
Potrei essere assalito da qualche vaga creatura. O peggio: farmela
addosso per la paura. Lei rifiuta le mie premure (grazie!). Inizio a
somministrare il farmaco. Sospiro. Fine. Ora corri.

sabato 2 gennaio 2010

Veterinari o speleologi?

Il venerdì mattina, preambolo del giorno di maggior lavoro nel nostro
ambulatorio, inizia sempre nello stesso modo: Federico e io che facciamo a gara per chi arriva prima, Simonetta che fa a gara per chi arriva ultimo e, pur di vincere, si tiene lontana una mezz'ora dall'orario di apertura. Mentre Federico sistema le attrezzature chirurgiche della giornata, scarica dalla macchina eventuali endoscopi ecc, io mi occupo di ricevere i pazienti per gli interventi: faccio firmare le autorizzazioni ed effettuo le visite
preanestesiologiche. Accade quindi che la porta della sala visite venga aperta spesso mentre i pazienti sono sul tavolo di esame... (accadeva, anzi). Un mese fa circa stavo visitando Micia prima di una nosectomia. La proprietaria, gestante all'ottavo mese, era vistosamente preoccupata per la gatta, il marito sembrava molto più spaventato dalla pancia di lei. La micia collaborava poco e in tutto questo ero appena riuscito a metterla sulla bilancia, quando entrò Federico con le borse degli endoscopi. Per un malaugurato calcolo ergonomico, la bilancia è vicina alla porta dicomunicazione con la sala d'attesa. La gatta, individuata una via di fuga, iniziò una mutazione forzata in anguilla (con gli artigli però), mi graffiò ovunque arrivasse e riuscì (vergogna) a svincolarsi dalla mia presa. Urlai al proprietario di chiudere immediatamente la porta, ma dovetti
farlo in aramaico, perché lui mi guardò senza il minimo segno di comprensione, Federico tentò un gesto atletico con tre Borse di endoscopi in mano, ma riuscì solo a rallentare l'evasione.
Per la sala d'attesa dobbiamo chiamare in causa la nota legge di Murphy ("se una cosa può andare male, lo farà"): un dannatissimo sassettino di forse due millimetri si era opposto alla chiusura della porta, lasciando uno spiraglio di libertà alla gatta che, senza pensarci un istante, si lanciò in strada. I proprietari a quel punto partirono all'inseguimento e la scena, nella sua drammaticità, non rinunciò ad una certa comicità: lei col pancione che strillava, lui che veniva preso a graffi e morsi ogni volta che la gatta decideva di fermarsi. Il problema però è che la gatta era pericolosamente vicino alla strada e continuare ad inseguirla aumentava il rischio di una tragedia automobilistica. Dunque quando Micia decise di rintanarsi nella resede di una palazzina a due piani poco distante dall'ambulatorio, tirammo tutti un sospiro di sollievo: chiuso il
cancello non restava che la caccia!
Quando la gatta decise di buttarsi nel pozzetto dell'aria condizionata profondo 5 metri, stretto stretto e sporco sporco, tirammo tutti qualche improperio. Rimasi di guardia mentre Federico andava a recuperare una corda con cui calarci (si avete capito bene). Il trambusto fatto, per fortuna, attirò l'attenzione di un inquilino al primo piano e, I eccezione ai postulati di Murphy, questi ci offrì una scala in ferro "dimenticata" a casa sua dai muratori. Eravamo a cavallo!
Il tempo di aiutarlo a far scendere l'enorme arnese giù per le scale e la gatta sarebbe stata tratta un salvo.
Il tempo di far scendere la scala e la gatta era scomparsa.
Impossibile: non poteva aver risalito un muro liscio. Eppure non se ne vedeva traccia. Decidemmo comunque di calarci tra i motori dei condizionatori. Scesi per primo. A prima vista nessuna traccia del felino. Ma c'era un possibilità: una minuscola finestrina socchiusa che dava sul magazzino di un'enoteca. Mi vidi già ad inseguire la gatta tra bottiglie più costose di me! Mandammo i proprietari ad avvisare il negoziante della probabile invasione. Stavo per risalire quando Federico dall'alto mi indicò un'altra nicchia nel muro che non avevo minimamente notato. Era un "buco" quadrato, forse di 20 centimetri di lato, dove avrebbe fatto fatica a rintanarsi un ragno. Ovviamente la gatta, bellicosa, era li dentro e infilare la mano per tirarla fuori equivaleva ad un di volerla perdere, la mano. Federico non perse tempo: assicurò la gabbia alla fune e la calò nel cunicolo, poi scese anche lui (il che ridusse lo spazio di manovra di ciascuno di noi al poter muovere agevolmente le dita) munito di guantoni rinforzati. In qualche modo la gatta dovette capire la nostra determinazione, perché si arrese senza lottare. La rimettemmo nel trasportino che fu issato in superficie e risalimmo.
Dopo si trattò di riportare la scala al primo piano, senza la carica adrenalinica di prima. Quando infine rientrai in ambulatorio ero sfinito come fossero le dieci di sera. Ma erano le dieci del mattino e infatti arrivò Simonetta, piuttosto alterata: "ma non mi avete preso la colazione!??"



PS: buon anno nuovo a tutti!