venerdì 15 agosto 2008

Profezie


Era una notte calda e afosa questa volta. Le 2 passate e stavamo aspettando, in un paesino sperduto vicino Siena, un collega con il suo bulldog, Cesare, che ci avrebbe salvato la vita.

Avevo discusso la mia tesi di laurea 3 giorni prima e mi trovavo già in prima linea con Laura, amica di sempre, veterinaria da poco più tempo di me, e Penelope, il suo bassethound, che non la smetteva di sanguinare copiosamente dal naso. La colpevole un’agguerrita quanto, all’epoca per me, sconosciuta Leishmaniosi (ok, non la conoscevo, ma avevo già capito quanto potesse rompere!). Un’occasione d’oro per il mio battesimo di fuoco.
La vicenda si protraeva ormai dalle 18.30 precedenti: Laura mi aveva chiamato dicendomi che Penelope aveva una forte epistassi e non sapeva che fare. A quell’epoca lei faceva già pratica presso un collega quindi, con mia somma invidia, era un pozzo di scienze rispetto a me. Mi disse che le aveva già provate tutte, ma non c’era stato verso di arrestare l’emorragia. L’unica cosa che rimaneva da fare era una trasfusione. Il donatore c’era, quello del suo mentore, bisognava solo arrivare vicino a Torrita di Siena e le serviva un autista, mentre lei avrebbe cercato di evitare che la macchina prendesse le sembianze di un mattatoio ambulante…un apporto tutto veterinario il mio, non c’è che dire…ma poco importa: alle 21, come da istruzioni del collega, ci mettemmo in viaggio. Alle 21.30 eravamo già, puntualissimi, di fronte all’ambulatorio. Nel frattempo il sangue di Penelope aveva rallentato la sua corsa folle verso il mondo esterno, forse perché ne rimaneva troppo poco. La trasfusione rimaneva comunque una necessità impellente viste le copiose perdite. Entrammo in ambulatorio con la copia delle chiavi di Laura ed iniziammo i preparativi per la trasfusione. Erano passato almeno altri 20 minuti ma di Enrico (il collega) e Cesare nessuna traccia.
Alle 22.30, vinti gli indugi, lo richiamammo e lui rispose masticando sonoramente che sarebbe arrivato in una mezz’ora. Noi eravamo digiuni e affamatissimi…accogliemmo la notizia con un …moto d’impazienza, ma non avevamo molte alternative. Alle 23 passate però iniziammo a preoccuparci per le sorti del disgraziato collega. Altra telefonata e finalmente la verità: “Laura scusa ma sono a Roma, però ho finito di mangiare, ora mi metto in macchina e arrivo. Per farla breve torniamo alle 2.30: sonnecchiando sulle poltroncine della sala d’attesa sentimmo una macchina arrivare tipo Starsky e Hutch, sgommando sul piazzale. Ne scese un simil-galeotto con gli occhi spiritati e il sorriso satanico, seguito da un bulldog assolutamente indifferente che ci fece due feste e si gettò sui resti delle nostre pizze. In 5 minuti quello stesso cane se ne stava immobile sul tavolo visite a farsi rubare un po’ di sangue tra schizzi e aghi. A me toccò il compito di agitare la sacca con l’anticoagulante ai piedi del tavolo. Sarà stato il caldo estivo, sarà stata l’ora impossibile o il sangue caldo che si agitava sulle mie mani ma, a dirla tutta, stavo per svenire e mi salvò solo una zolletta di zucchero presa direttamente dalle mani sporchissime di Enrico il quale sentenziò: “ragazzo mio, complimenti per la laurea, ma tu non sarai mai un veterinario!”.

giovedì 14 agosto 2008

Era una notte buia e tempestosa...


L’anno moriva assai dolcemente…mi sarebbe tanto piaciuto iniziare così un mio racconto. Ma più che alle opere di D’Annunzio, i miei pensieri somigliano ai romanzi di Snoopy: “era una notte buia e tempestosa...”.

Era una notte buia e tempestosa, appunto, e ringraziavo il Cielo di essere nel mio letto, al calduccio. E mi godevo tutto quel piovere, bene al sicuro tra le mura della mia casa in Piccione. Era circa mezzanotte ed indugiavo sulle pagine del libro dei libri: La versione di Barney. In poche parole: me la godevo. Niente di male fin qui. Il guaio è che me la godevo e gongolavo su questo mio star bene. Mi gongolavo a tal punto che, immancabile, squillò il telefono. Mentre riconoscevo sconsolato il numero della clinica per la quale lavoravo, mi obbligai mentalmente a trovare le parole magiche che mi avrebbero permesso di aiutare il collega di turno, per il quale ero reperibile (poveraccio!!), senza bisogno di uscire dal letto. Dopo 3 squilli di training autogeno ero pronto a rispondere: “Maurizio! Che succede?” dissi col tono più rassicurante che trovai. “Ciao Alessandro, scusa il disturbo, mi dispiace e bla bla bla” “Maurizio! – tagliai corto – vai al sodo ti prego!”.
“Si beh, ci sarebbe da mettere una cannula ad un cane e proprio non mi riesce…”.
“…Maurizio!!! Fammi capire: secondo te io dovrei lasciare il calduccio del mio letto, affrontare il diluvio universale, farmi 15 chilometri di strada, di cui 2 impraticabili, perché tu non riesci a mettere un ago in vena a un cane!?”
“…eh…mi sa di si…”
FANTASTICO!
Mi alzai come una furia, sembravo un pazzo, mi vestii al buio e scesi in strada. La macchina era giusto a 2 secchi d’acqua dal portone e quando la raggiunsi avrei già dovuto tornare in casa a cambiarmi. Salii imprecando e partii a razzo. La strada bianca, complice l’acqua, sembrava più un torrente da rafting e guadai a valle piuttosto che guidare, non senza difficoltà. Nel frattempo pensavo a cosa ci facessi in macchina con quel tempo, solo per aiutare un collega a fare la prima cosa che ci insegnano appena laureati. Per carità: mica è sempre facile, ma da lì a chiamare un collega nel cuore della notte per una stradannatissima cannula. In un cane per giunta, che come minimo pesava 30 chili a aveva vene come autostrade. Eddai!!
Comunque ormai ero arrivato e tanto valeva sbrigarsi: potevo sempre tornare a casa a godermi ancora un po’ il mio rifugio.
Entrai negli ambulatori e capii, mentre rischiavo un infarto: alle 00.30 di un neonato 16 gennaio, l’intero staff della clinica più qualche amico infiltrato mi aspettava intorno a 29 candele accese e una torta.
Ricordo ancora la sensazione esatta che provai: li avrei uccisi tutti.
Ma chi lo batte un compleanno così??