
Durante il primo anno a Firenze, abitai a 50 chilometri, in piena montagna. Nel bosco, anzi: nel Bosco (avete google earth? Casomai lo prendete QUI. Fatto? Bene: latitudine: 44° 2'22.57"N longitudine: 11°17'15.01"E). Per diversi chilometri solo la mia casetta. Rientrare a notte fonda mi creava sempre un certo disagio. Specie per quegli ultimi cinquanta metri da percorrere a piedi in un fitto d’alberi che avrebbe terrorizzato anche la strega di Blair!
Eppure raggiungere quelle quattro mura sperdute era guadagnare il riposo. Le rare volte che mi colse un’emergenza me le ricordo bene. La più…vergognosa risale all’epifania del 2004. Era circa l'una di notte. Avevo appena finito di riempire le calze di dolci quando mi squilla il telefono: “Dottore la Kira ha iniziato a partorire, ma il cucciolo spunta ogni tanto dalla natura (la vagina, per capirci) e poi rientra dentro”. A quel punto avevo già raggiunto la macchina (bosco o non bosco) e mi proiettavo verso casa di Kira. Conoscevo bene i proprietari: un’anziana coppia di contadini gentili e premurosi fin nel DNA. E innamorati di quel bellissimo springer che ora tentava per la prima volta l’avventura del parto. E mentre percorrevo i cinquanta chilometri mi ripassavo il protocollo delle distocie, pensavo a come organizzarmi per il cesareo, a chi far rianimare i neonati. Arrivai trafelato a casa dei due coniugi e mi precipitai dentro. Chiesi subito acqua calda e sapone (lo sanno tutti che servono sempre in un parto) e mi feci portare da Kira. Quaranta minuti erano trascorsi dal momento della telefonata al mio ingresso nella “sala parto” e già tre meravigliosi cuccioli di springer se ne stavano, lavati e asciugati, comodamente intenti a brindare alla vita col primo latte di mamma. Rimango sempre stupito dalla semplicità con cui la Natura affronta concetti per noi tanto complicati. Ma quella volta mi stupivo soprattutto di quanto avessi sopravvalutato la mia presenza. E il bosco? E i cinquanta chilometri? E il fatto che fossero le 2 di notte?! Dovevo fare qualcosa! Presi l’acqua calda e il sapone, esplorai il canale del parto e trovai l’ultimo cucciolo che si avvicinava a grandi passi verso l’ ”uscita”. Appena mi fu possibile lo afferrai delicatamente ed aiutai Kira a partorirlo, sotto gli occhi stupefatti dei proprietari, ammirati da tanta abilità. Naturalmente quel cucciolo sarebbe uscito anche da sé ma io, allora, che ci stavo a fare?!
Eppure raggiungere quelle quattro mura sperdute era guadagnare il riposo. Le rare volte che mi colse un’emergenza me le ricordo bene. La più…vergognosa risale all’epifania del 2004. Era circa l'una di notte. Avevo appena finito di riempire le calze di dolci quando mi squilla il telefono: “Dottore la Kira ha iniziato a partorire, ma il cucciolo spunta ogni tanto dalla natura (la vagina, per capirci) e poi rientra dentro”. A quel punto avevo già raggiunto la macchina (bosco o non bosco) e mi proiettavo verso casa di Kira. Conoscevo bene i proprietari: un’anziana coppia di contadini gentili e premurosi fin nel DNA. E innamorati di quel bellissimo springer che ora tentava per la prima volta l’avventura del parto. E mentre percorrevo i cinquanta chilometri mi ripassavo il protocollo delle distocie, pensavo a come organizzarmi per il cesareo, a chi far rianimare i neonati. Arrivai trafelato a casa dei due coniugi e mi precipitai dentro. Chiesi subito acqua calda e sapone (lo sanno tutti che servono sempre in un parto) e mi feci portare da Kira. Quaranta minuti erano trascorsi dal momento della telefonata al mio ingresso nella “sala parto” e già tre meravigliosi cuccioli di springer se ne stavano, lavati e asciugati, comodamente intenti a brindare alla vita col primo latte di mamma. Rimango sempre stupito dalla semplicità con cui la Natura affronta concetti per noi tanto complicati. Ma quella volta mi stupivo soprattutto di quanto avessi sopravvalutato la mia presenza. E il bosco? E i cinquanta chilometri? E il fatto che fossero le 2 di notte?! Dovevo fare qualcosa! Presi l’acqua calda e il sapone, esplorai il canale del parto e trovai l’ultimo cucciolo che si avvicinava a grandi passi verso l’ ”uscita”. Appena mi fu possibile lo afferrai delicatamente ed aiutai Kira a partorirlo, sotto gli occhi stupefatti dei proprietari, ammirati da tanta abilità. Naturalmente quel cucciolo sarebbe uscito anche da sé ma io, allora, che ci stavo a fare?!
Dopo aver verificato lo stato di salute di mamma e cuccioli, chiesi di potermi lavare le mani. Appena finito iniziai a rimettere in ordine gli attrezzi nella mia borsa. “Dottore venga, dopo tanto lavoro bisogna che si rifocilli!”. Non ho mai letto malizia in quelle parole, ma fino al terzo bicchiere di grappa rimasi appena insospettito. Dal quarto in poi smisi di pensarci.