martedì 9 febbraio 2010

Gli occhi del carnefice

Ore tre. Del mattino certo. Che domande...
Ore tre dicevo. Sdraiato in un canile puzzolente a cercare di porre
fine alle sofferenze di un cane che ha tutte le carte in regola per
poter fare da solo: 21 anni, un diabete scompensatissimo, cardiopatico e forse qualche altra cosa che non ho indagato. È buio e fa anche
parecchio freddo. Mi illumina come riesce la padrona del cane. Le
batterie della sua cadaverica torcia devono avere l'età dell'animale.
La mano della signora invece deve avere bevuto un po' perché proprio
non riesce a star ferma. Sembrano gli ingredienti di un horror. Ma
questi non sono comunque mai momenti semplici. In compenso la signora
è in vena di chiacchiere e questo è di conforto: su quel pavimento di
terra battuta, mentre cerco una vena del disgraziato animale,
intorpidito dal gelo, potrei anche addormentarmi. Mi racconta di quel
mucchietto d'ossi che sto per mandare ai campi elisi. Me lo descrive
atletico, muscoloso e coraggioso. Me ne racconta le gesta. Gran
sterminatore di galline. Conquistatore instancabile, pluripadre
irresponsabile. E quella volta che fece scappare un cacciatore? Coi
bambini è sempre stato feroce. Pare che una volta abbia boicottato il
compleanno estivo di qualche generico nipote avvalendosi di armi
acustiche e un assalto alle vettovaglie coronato dal successo. Poi
arriviamo al declino. Le passeggiate sempre più rade, infine l'esilio
in quel misero recinto. Tre giorni prima il verdetto. E ora
l'attuazione della sentenza. E mentre somministro l'anestesia generale
che precede l'eutanasia, capisco. Che un po' sto ammazzando anche la
vecchia signora. Che sono 21 anni di affetti che sto per interrompere.
Sto sempre più scomodo in quel recinto, inginocchiato di fronte al
cane ora. Che per fortuna è bianco e c'è uno spicchio di luna.
Altrimenti non saprei neppure da che parte sia la testa. Cerco di
concentrarmi sugli aspetti tecnici. E si riparte di resoconti di una
vita. Mi assale un gran freddo mentre percepisco il coraggio di questa
maledetta chiamata notturna. Questo cane morirà comunque tra mezza
giornata. E la vecchia signora invece mi ha tirato giù dal letto
perché, per fargli lo sconto di qualche ora di agonia, è disposta a
illuminare gli occhi del boia e a raddrizzare la voce che trema anche
più della mano. Sono pronto ora. Chiedo alla signora se preferisce
rientrare in casa. Avverto il disagio di averle proposto di andare
via: il giardino tra canile e casa è enorme e piuttosto inospitale.
Potrei essere assalito da qualche vaga creatura. O peggio: farmela
addosso per la paura. Lei rifiuta le mie premure (grazie!). Inizio a
somministrare il farmaco. Sospiro. Fine. Ora corri.

1 commento:

Fazart ha detto...

Ale... :(
è quasi più triste di incompreso :)
molto bello e toccante, sempre orgogliosa!
Faby